La morte di Berlinguer
di Claudio Maderloni
Ho avuto la fortuna di avere incontrato personalmente Enrico Berlinguer due volte: una al congresso nazionale della FGCI a Firenze(marzo 1971), gli chiesi di firmarmi la tessera, mi rispose “ma non sono una ballerina” imbarazzato me ne sono ritornato tra la nostra delegazione ; l’altranel 1976 per un comizio in campagna elettorale in Piazza Cavour, quando Paolo Guerrini gli ha fatto conoscere i compagni che stavano facendo la ronda notturna all’hotel Passetto, dove alloggiava e mi ha presentato come il più giovane segretario di sezione della provincia di Ancona, gli ho stretto la mano, sembrava così fragile e minuto eppure era così imponente.
Quando, a febbraio di quest’anno ho visitato la mostra su Berlinguer esposta a Roma, mi ha colpito in particolare una tavola di Staino che faceva dire a BOBO l’elenco delle situazioni in cui era stato in disaccordo con il Segretario Nazionale; la vignetta terminava con “ Enrico per fortuna che non mi hai ascoltato”. Ecco questa vignetta mi ha ricordato che diverse volte non ero stato in sintonia con la sua linea ( soprattutto sulla questione del compromesso storico), ma Berlinguer aveva ragione.
Ero presente alla festa dell’Unità della cittadella ad Ancona, facevamo il servizio d’ordine, per “salvarlo” non dagli avversari politici ma dalle migliaia di compagni che volevano stringerlo, accarezzarlo, baciarlo. È stata una grande giornata, c’era un grande entusiasmo come in tutti i comizi di chiusura delle feste de L’Unità. Si aspettava il momento di inizio, appena udite le parole “ora la parola al Segretario Nazionale Enrico Berlinguer” un immediato strepito della base ha impedito per lungo tempo di sentire qualsiasi altra cosa.
Quando appresi del suo malore durante il comizio a Padova, mi prese un colpo al cuore, ero incredulo, come tutti impreparato a vedere il nostro segretario in quella situazione di estrema difficoltà. Poi quelle immagini, quei video … Rimanemmo in tanti incollati alla televisione, in attesa di improbabili positivi aggiornamenti. Anche durante il lavoro, che svolgevo presso l’amministrazione provinciale nell’ufficio di Nino Cavatassi. Aspettavamo questo miracolo che purtroppo non arrivò.
La sua morte è stata traumatica, non potevamo essere preparati (lo si è mai?) eravamo nel pieno della campagna elettorale per le europee, e ci scuoteva quel messaggio “andate casa per casa”.
Ovunque le persone che conoscevi, che incontravi, che sapevi non essere né iscritti né elettori del PCI, ti facevano le condoglianze, come quando perdi un familiare, e sentivi che erano sincere.
Poi la partenza con i pullman per andare ai funerali. Ricordo una giornata d’inferno: il caldo, la tensione, i pullman lasciati lontanissimo… Tentammo di arrivare alla piazza dove si sarebbe svolto il funerale, volevamo arrivare sotto il palco per essergli più vicini:non ci riuscimmo, un muro umano lo impediva. Ovunque visi sconcertati, lacrime, strette di mani e abbracci di solidarietà. Ci si confortava a vicenda, spaesati per la perdita e incerti per il domani.
Giuseppe Cecchetti con una cinepresa pesantissima che si portò a spalle, doveva fare delle riprese per “Antennatre”, salì su una autobotte per il trasporto del latte, rischiando di farsi male, e da lassù riprese parte del corteo. Chissà che fine avrà fatto quel materiale. Assieme a Lorena sono salito su un albero, volevo vedere sfilare nel corteo Claudio Venanzi a fianco del Gonfalone del Comune di Ancona.
Molti sfilavano con la copia de L’Unità: “ADDIO” scritta in rosso a caratteri cubitali e sotto una bellissima foto di Berlinguer. Ricordo le tantissime corone, i Gonfaloni dei Comuni, un mare di bandiere rosse che ci stringeva in un solo essere accanto al suo leader.
Era uno di famiglia, anzi il capofamiglia con accanto tutti i suoi figli. Eravamo tutti scossi, spaesati e trovavamo conforto nella marea di donne e uomini che sentivano le nostre stesse cose, che vivevano i nostri stessi tristi momenti.
In lontananza l’eco della voce di Pajetta, che non riusciva ad iniziare il suo intervento, poi un silenzio lugubre e il via alla commemorazione. Pajetta sarà interrotto spesso a sottolineare il consenso alle sue parole a sostenere il popolo comunista così ferito.
L’immagine di Pertini con le mani sulla bara quasi a significare la perdita di un figlio, un figlio che aveva dato così tanto lustro alla Repubblica, quella foto è rimasta nella mente di tanti e non solo italiani e non solo comunisti.
Questa prima pagina de L’Unità diventata una sorta di “cappello di carta” per difendere le persone dal gran sole.
Dopo è arrivata quell’emozione di poter dire “io c’ero!”
Non ricordo se di ritorno sui pullman abbiamo cantato, come facevamo di solito al ritorno dalle manifestazioni o dagli appuntamenti importanti, il mio ricordo termina con il canto Bandiera Rossa, poi c’è come un vuoto.
Nei giorni seguenti al seggio elettorale 45 dove votavano i residenti di Vallemiano un noto repubblicano del quartiere mi si avvicina e mi dice “Oggi voto per voi”, era un voto dato per Berlinguer.
È stato come un lungo addio che a volte sento ancora non compiuto.
Mi viene da fare il paragone con i funerali di Togliatti: ero piccolo, pantaloni corti e sandali, mi ci aveva portato mia madre; assieme a Valerio eravamo scappati per arrivare alle Botteghe oscure per vedere la bara; ricordo il pianto di mia madre, i volti delle donne e degli uomini adulti seri e tristi. Ricordo di aver portato per un tratto la bandiera della sezione P.C.I. Teodoro Pavoni sotto il palco d’onore con accanto Alberto, un compagno della sezione.
Anche lì la comunità sembrava persa poi si ritrovò.
15.09.24 chiaravalle