di Ugo Fanti
Presidente sezione ANPI Aurelio-Cavalleggeri “Galliano Tabarini” – Roma
Carissime e carissimi,
a Roma si dice che chi non supera, almeno una volta, i tre scalini del Carcere di Regina Coeli non è romano. Allora vediamo di conoscere qualche riga della Storia di questo ex Convento diventato una galera e che molta parte ha avuto nella storia antifascista della nostra città.
L’edificio da cui il Carcere trae origine era appunto un vecchio Convento. La sua edificazione ebbe inizio sotto Papa Urbano VIII, nel 1642, e fu ripresa dal suo successore, Innocenzo X. Dal 1810 al 1814 il Convento fu confiscato in ottemperanza al Decreto napoleonico che imponeva la soppressione degli Ordini religiosi. Partiti i francesi tornarono le monache, ma nel 1873 le religiose carmelitane (della Congregazione di Sant’Elia) dovettero nuovamente abbandonare il Convento, stavolta definitivamente, per un’analoga Legge del neonato Regno d’Italia. I lavori di adattamento delle strutture del Convento a Carcere furono diretti da Carlo Morgini e furono completati nel 1900. Sempre alla fine dell’Ottocento fu acquisito un Plesso contiguo, che venne adibito a Carcere femminile, popolarmente noto come Carcere delle Mantellate (anch’esso ex Convento risalente allo stesso periodo di quello maschile attiguo).
“Le Mantellate so’ delle Suore / ma a Roma so’ sortanto celle scure / La Campana sona a tutte l’ore / ma cristo nun ce sta drento a ste mura //. Così recita lo stornello romanesco intitolato Le Mantellate, scritto da Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi per Ornella Vanoni e rieseguito, nel tempo, da diverse interpreti delle canzoni popolari capitoline, tra cui Alida Chelli e Gabriella Ferri.
Nel 1902 il Carcere di Regina Coeli fu eletto a sede della prima Scuola della Polizia Scientifica, che vi sarebbe rimasta sino agli anni venti, e del Casellario giudiziario, oltre che essere sfruttato come ovvio serbatoio di “materiale di studio” per le nascenti discipline dell’antropologia criminale.(*)
Dunque, Regina Coeli era il Carcere Giudiziario Maschile di Roma e così sarà fino al momento dell’occupazione della città da parte dei tedeschi (Settembre 1943) e del contestuale ritorno a Roma, dopo il 25 Luglio, dei fascisti repubblichini di Salò. Da quel momento, infatti, Regina Coeli, pur rimanendo Carcere giudiziario (leggi per detenuti comuni), diventa anche altro, ovvero un Carcere per detenuti politici e viene spartito tra i tedeschi occupanti e i fascisti saloini del Questore Pietro Caruso.
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Il Carcere al suo interno è costituito da due grandi rotonde da ognuna delle quali si irradiano quattro Bracci, ovvero lunghi corridoi con celle laterali sovrapposte su quattro Piani. Prima dell’occupazione tedesca vi sostavano alcuni detenuti politici in attesa di essere trasferiti, per le udienze, presso il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato. Dopo la fine della Battaglia di Porta San Paolo, con l’occupazione nazista della città, i politici sovrastarono di gran lunga per numero i comuni all’interno del Carcere.
Il 3° ed il 4° Braccio erano riservati ai tedeschi, mentre il 6° ed il 7° erano di competenza dei fascisti. I detenuti arrivavano dal Carcere Tedesco di Via Tasso, dalla Pensione Oltremare, di Via Principe Amedeo 2 e da quella Jaccarino, di Via Romagna, 38; nel tempo entrambe sedi della Banda Cock, accozzaglia di scherani assassini e torturatori al soldo dei fascisti di Salò e dei tedeschi di Kappler. Gli antifascisti catturati arrivavano al Carcere quando non erano uccisi sotto tortura in quei luoghi nefandi che, con Regina Coeli, possono essere considerate le stazioni di una Via Crucis laica che hanno costellato la città e la vita dei romani nei 271 giorni dell’occupazione nazifascista della città.
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Da Regina Coeli partiranno e i 320 deportati antifascisti del treno del 4 Gennaio del 1944 (molti dei quali risiedevano nel nostro Municio) e molti dei 335 antifascisti e cittadini comuni che saranno assassinati alle Cave Ardeatine, il 24 Marzo del 1944. Oggi, davanti al Portone d’ingresso del Carcere, due pietre d’inciampo ricordano due deportati facenti parte di quel trasporto. del 4 Gennaio. Con quei due piccoli sampietrini dalla testa d’ottone si è voluto fare memoria, attraverso due loro compagni di sventura di tutti i deportati di quel trasporto, che fu il primo di deportati politici dall’Italia (**)
Ma il Carcere romano è famoso anche per la rocambolesca fuga – avvenuta il 24 Gennaio del 1944 – di Sandro Pertini, Giuseppe Saragat, Luigi Andreoni, Torquato Lunedei, Ulisse Ducci, Luigi Allori e Carlo Bracco che – grazie ad un piano di evasione orchestrato magistralmente da un gruppo di Partigiani socialisti, tra cui figuravano Alfredo Monaco (Medico del Carcere) e sua moglie Marcella Ficca insieme a Vassalli, Gracceva, Lupis e Maiorca, tutti militanti socialisti – uscirono dal portone principale del Carcere, muniti di un finto ordine di scarcerazione. Mentre gli altri si sparsero per la città, Pertini e Saragat rimasero, invece, dentro Regina Coeli, ospitati in casa Monaco, eludendo così le ricerche dei nazifascisti che li cercavano in tutta la città e successivamente poterono allontanarsi indisturbati da Roma.
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Parlando della Storia di Regina Coeli è curioso ricordare come nel Carcere romano finirono – dopo la Seduta del Gran Consiglio del Fascismo che si concluse, la mattina del 25 Luglio 1943, con l’approvazione dell’Ordine del Giorno Grandi di sfiducia a Mussolini – alcuni dei gerarchi fascisti che quell’O.d.G., avevano firmato: De Bono, Cianetti, Gottardi e Marinelli, oltre al Capo della Polizia Giuseppe Volpi.
I quattro ex gerarchi furono tutti rinchiusi nel VI Braccio del Carcere fino al giorno in cui furono trasportati al Nord e – dopo essere stati processati, a Verona, saranno fucilati l’11 Gennaio 1944, insieme a Ciano, e Pareschi. Nella sua arringa finale, il Pubblico Ministero Andrea Fortunato dirà – parafrasando addirittura le parole di Maximilien de Robespierre e Georges Jacques Danton, pronunciate durante il Processo a Luigi Capeto – con la roboante e stantia retorica del regime – “Così ho gettato le vostre teste alla storia d’Italia: fosse anche la mia purché l’Italia viva”.
L’ultimo gerarca fascista ad entrare a Regina Coeli fu Carlo Scorza, che era stato Segretario del Partito Nazionale Fascista. Scorza – che etra stato arrestato dai Carabinieri – rimase a Regina Coeli fino a quando anche lui non fu trasferito al Nord insieme ai criminali della “Banda di Palazzo Braschi”, di cui scrivo subito appresso.
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Il 12 Settembre 1943, c’era stato il Comunicato di Mussolini, da “Radio Monaco”: era nata la Repubblica Sociale Italiana. A Roma, quello stesso giorno, erano stati liberati i fascisti che il Governo Badoglio aveva fatto imprigionare a Forte Boccea. Il 19 Settembre, Alessandro Pavolini, Segretario del nuovo Partito Fascista Repubblicano, si insedia a Palazzo Wedekind, nei pressi di Piazza Colonna: vuole riorganizzare il fascismo a Roma, ma si tratterrà poco, sostenendo che la città non merita Mussolini ed il fascismo. Fa a tempo, però, a nominare i nuovi capi del fascismo romano. Pochi giorni dopo quel 19 Settembre, a Palazzo Braschi – settecentesco edificio nel cuore di Roma, tra Piazza Navona e Corso Vittorio Emanuele II, residenza in origine dalla Famiglia Braschi-Onesti (oggi Museo di Roma e allora sede della Federazione del Fascio Repubblicano di Roma) – entrano i nuovi gerarchi: Gino Bardi, Guglielmo Pollastrini e Carlo Franquinet di Saint Remy.
La “Banda di Palazzo Braschi”, così i romani definiranno i tre insieme ai loro accoliti, per le rappresaglie e le ruberie, che colpiranno la città e per le sevizie, che i tre fascisti infliggeranno ad antifascisti, partigiani e cittadini innocenti, rinchiusi nei sotterranei del Palazzo. La storia andrà avanti fino a quando gli stessi fascisti si renderanno conto che la “Banda” aveva passato anche il loro segno. Ma saranno i tedeschi a far arrestare dai militi della PAI, la sera del 27 Novembre 1943, i loro camerati fascisti, che saranno rinchiusi tutti nel VI Braccio del Carcere romano. Nel Palazzo i tedeschi troveranno il frutto dei 75 giorni di ruberie e, dai sotterranei, usciranno – ancora vive, ma in condizioni pietose – 24 persone
Il tempo della “Banda di Palazzo Braschi” era finito. Cominciava quello del Questore Pietro Caruso, e di Pietro Kock, che da Sottotenente dei Granatieri si era fatto le ossa di torturatore ed assassino a Firenze, nel Reparto dei Servizi Speciali, poi Ufficio Politico Investigativo, comandato dal Seniore della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (MVSN) Mario Carità e per questo meglio noto come Banda Carità. Trasferitosi a Roma e diventato Capitano, Kock ottenne dai tedeschi di comandare una sua personale Squadra di assassini, il Reparto Speciale di Polizia (inquadrato formalmente nella polizia della RSI, ma di fatto dipendente dal Comando della Polizia tedesca di Roma, comandato da Herbert Kappler, con sede in Via Tasso, 155), ovvero la Banda Kock ZAhe operò prima nella Pensione Oltremare e poi in quella Jaccarino.
Nel 1947, Gino Bardi fu condannato a 23 anni e sei mesi di carcere. Nel 1950 fu però rimesso in libertà, trovando il tempo di militare nel Movimento Sociale Italiano (MSI) dell’Avvocato Arturo Michelini e di Giorgio Almirante che, nella RSI, era stato il Capo di Gabinetto del Ministro della Cultura Popolare, Ferdinando Mezzasoma (fucilato a Dongo, con Mussolini nel 1945) e – come tale – aveva firmato Bandi per la fucilazione dei Partigiani. Nello stesso Processo di Bardi, Guglielmo Pollastrini fu condannato a 28 anni di reclusione, mentre Carlo Franquinet ebbe 23 anni di carcere. (***)
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Quelle che avete letto sono solo alcune delle storie accadute all’interno delle mura del Carcere di Roma. Storie che anche se “recluse” ci riguardano. Sono anche nostre perché quell’Edificio di Via della Lungara è un pezzo importante non solo della Storia, ma anche della vita di Roma; così come lo è l’altro Edificio che si trova a qualche centinaio di metri dal Carcere, lungo la stessa Via. Mi riferisco, evidentemente, al Collegio Militare, il luogo in cui furono portati – prima di essere caricati sui vagoni piombati e deportati in Germania – i rastrellati ebrei della razzia del 16 Ottobre 1944.
Grazie per l’attenzione.
Il Presidente
Ugo Fanti
(*) La campana in bronzo delle Mantellate, costruita nel 1835, con i suoi rintocchi, scandiva le ore della giornata delle carcerate. Quando le Mantellate furono chiuse, alla fine degli anni Cinquanta, le detenute furono trasferite nel nuovo Complesso Carcerario femminile di Rebibbia e la campana fu custodita dentro Regina Coeli. Oggi si trova conservata nel Museo Criminologico, ospitato nel Palazzo del Gonfalone sito in Via del Gonfalone, 29.
(**) Nel Gennaio del 2014 sono state istallate – davanti al portone d’ingresso del Carcere – due pietre d’inciampo a memoria di Jean Bourdet e Paskvala Blesevic, deportati per motivi politici facenti parte del Trasporto del 4 Gennaio 1944 (Convoglio delle Ferrovie Italiane n. 64155) e assassinati: il primo il 30 Aprile del 1945, nel KL di Ebensee, il secondo nel KL di Gusen, il 19 Aprile del 1945. Entrambi quei KL erano Dipendenze del KZ di Mauthausen, noto anche come “L’inferno dei vivi”.
(***) Si racconta che quanto Carlo Franquinet entrò a Regina Coeli indossava ancora, sotto il cappotto tirato fino sulla testa, la divisa fascista da gerarca. Quando i secondini seppero che era un giornalista (era stato il Capo Ufficio Stampa della “Banda di Palazzo Braschi”) gli dissero “Ce ne sono altri”. E lui rispose: “Ma quelli li ho fatti arrestare io.”. I secondini allora capirono chi fosse e – mentre gli altri detenuti fischiavano e urlavano – lo trasferirono in un altro Reparto del Carcere.